I profughi di Calabria

La stretta attualità italiana ci dice di migliaia di profughi che continuano a sbarcare a Lampedusa. Un problema che il nostro Presidente del Consiglio ha definito "tsunami", nel senso che sta assumendo le dimensioni di una catastrofe e che rischia di durare a lungo se non vengono attuate politiche di controllo a partire dalle loro terre d'origine. Intanto i media e i politici cercano di spiegarci che il problema non sono tanto i profughi, cioè coloro che cercano scampo da Paesi in guerra come la Libia, quanto i clandestini che stanno raggiungendo le nostre coste dalla Tunisia, dall'Eritrea, dalla Somalia, e per i quali non è riconosciuto lo status di profugo. Le leggi internazionali a tal proposito parlano chiaro: devono essere rimpatriati ed è quello che farà il governo italiano. In tal senso bisogna però dire che l'Italia è isolata in Europa visto che un poco tutti gli altri paesi stanno viceversa facendo la politica del "vedetevela voi". Sembra quasi che si voglia far passare l'idea che è un problema italiano punto e basta, quando invece questi clandestini hanno come loro mete altri paesi come la Francia.
Noi calabresi, che abbiamo avuto già a che fare con tali problematiche, per il momento abbiamo dato la disponibilità attarverso il Governatore Scopelliti ad accogliere 1800 profughi e ad ospitarli nelle caserme e negli ospedali dismessi. Non è cosa di poco conto se si pensa che alcuni politici li vorrebbero "fuori dalle palle". La Calabria terra di conquista e di emigrazione ha nel proprio Dna l'accoglienza e la solidarietà. Si pensi per esempio a cittadine come Badolato o Riace che sono presentate in "Il volo", il cortometraggio realizzato da Wim Wenders, come simboli di pluralismo culturale e di accoglienza. Anche in questa circostanza, che vede molti dissapori politici scontrarsi con la volontà di alcune regioni di ospitare queste persone, i calabresi si stanno dimostrando primi in classifica in quanto a disponibilità. Potrà sembrare anormale per chi dichiara di "sparare a vista" contro questi poveretti, ma semplicemente parlando ti accorgi che noi siamo solidali e mai ostili. Stamane per esempio in una discussione a tal proposito con un  mio amico guardavallese sono rimasto piacevolmente sorpreso quando mi ha detto " magari arrivassero in massa questi profughi, darebbero una mano ai nostri paesi per il ripopolamento e anche per creare indotti economici che tanto servono." L'ho ascoltato per cercare di andare oltre le sue parole e capire le sue reali motivazioni. Saranno di natura sociale o di natura economica,  mi sono chiesto dopo. La risposta la trovo solo adesso: è istinto, è volontà di solidarizzare con chi in realtà vive condizioni molto simili alle nostre e con i quali dunque si potrebbe fare un pezzo di strada insieme.

Commenti

  1. Antonella Scozzafava2 aprile 2011 alle ore 08:43

    "il barcone arrivò col suo carico di uomini e speranze, sacchi di canapa, fardelli. Scendevano sulla terra ferma uomini e donne, grandi e piccole storie di gente che affidava la propria dignità ad un mondo lontano, pochi soldi in tasca; le donne con la testa avvolta fazzoletti e gonne lunghe, scure, gli uomini con quel che avevano trovato; tutti, gli occhi scavati dal lungo viaggio e dal timore che ogni onda fosse l'ultima. Riscattarsi dallo spettro della fame, lavorare, acquistare la dignità che la fame, la miseria, i sopprusi gli avevo impedito di avere. In questo immenso continente ci sarebbe stato pure posto anche per loro." Queste pagine, non hanno come protagoniste Mohamed, Jamal, Affed o uno qualunque dei tanti nomi tunisini, Somali e via di seguito. I nomi dei protagonisti di quel viaggio erano Vincenzo, Maria, Nicola, Giuseppe, Rosa... Sono i nomi dei nostri conterranei che per oltre 60 anni hanno solcato gli oceani, in bastimenti assolutamente di fortuna, morendo i più nel percorso, nel tentativo di una vita migliore, per se e per le proprie famiglie. Noi siamo figli e pronipoti di gente così, Pentone, la Calabria e l'Italia tutta, è fatta da parenti di emigranti, di gente che questi viaggi li ha fatti. Non riesco a comprendere, quindi, l'astio, il senso di disprezzo, la negatività verso coloro, che come noi un tempo, cercano un posto dove poter vivere dignitosamente. E ancor più mi sconvolge quando un simile atteggiamento lo riscontro, ahimé, in noi meridionali. Perchè in questi giorni tutti ci troviamo a discutere di questo argomento e troppo spesso sento un respingimento che mi lascia attonita. Perchè, come dici tu, noi, tradizionalmente, non siamo così, eppure se dovessi dirti la mia impressione, sono di più coloro che vedono negativamente l'arrivo di queste persone.Non c'è lavoro per noi, non abbiamo case noi, non basta a noi... Questo ricorrente "Noi" proprio noi che ci commuoviamo quando leggiamo Vittorini e i racconti di barconi intrisi dell'odore di limoni e aranci ormai fracidi per il lungo viaggio in mare, noi che in ogni parte di questa nostra regione accogliamo i nostri emigranti con feste appositamente dedicate, beh... noi, dovremmo quanto meno essere un pò più coerenti, se non altro, e comprendere che questa gente che lascia casa sua è identica allo Zio Nicola o alla Zia Teresina di turno... salvo a non voler ritenere che il colore della pelle sia un elemento differenziale. In questo caso, sarebbe opportuno rammentare che calabresi e siciliani, quando giungevano a Ellis Island, venivano registrati come "non white"... Allora, a prescindere dalle motivazioni poliche o sociologiche che possano spingere ad essere pro e contro l'accoglienza, io credo che vi sia in ogni caso un obbligo umano ed etico verso chi è in difficoltà.

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