Racconto: Il garibaldino (VI parte)

Fecero un pezzo di strada prima di fermarsi per scambiare una parola. Nonostante non si conoscessero aveva agito fin dal primo momento con una sintonia pazzesca, ma era ora di presentarsi.
- Mi chiamo Nicola- disse il giovane garibaldino porgendogli la suo mano piena dei segni del lavoro dei campi.
- Io Giuseppe- rispose l'altro allungandogli la sua.
Nicola non aveva mai sfiorato una mano così liscia, anche le donne infatti nel suo paese  avevano i calli, ma il duro lavoro che facevano era così evidente!
Giuseppe notò che lo guardava strano come se volesse carpire qualcosa, ma non riusciva a capire bene cosa.
- Tu non devi essere un contadino - riprese Nicola -  hai le mani troppo lisce - terminò.

Giuseppe comprese allora quella sorta d'imbarazzo che si era creato tra i due e cercò di spiegarsi. A nessun altro uomo avrebbe detto quanto stava per rivelare al suo interlocutore, ma a chi gli aveva salvato la vita doveva molto di più!
- si hai ragione non sono un contadino, ma avrei voluto esserlo. La fatica che voi fate vi rende dignitosi più di quanto immaginate. La mia famiglia invece da sempre ha posseduto terre e palazzi. Mio padre è un marchese di eredità e dunque non sa cos'è il prezzo del sacrificio.
Nicola lo ascoltava in silenzio.
Non capiva però: perchè allora era in mano ai borboni che erano dalla sua stessa parte? perchè soprattutto portava alla cinta un tricolore?
Il giovane marchese si sentì in dovere di dire tutto quello che aveva in animo da tempo.
- Sono scappato da casa dopo aver difeso un domestico colpevole solo di aver fatto cadere un vassoio. Mio padre lo stava schiaffeggiando ed io l'ho bloccato. Si è girato verso di me e mi ha colpito con tutta la sua forza. Non voleva solo punire ciò che avevo fatto: la sua rabbia derivava anche dalle mie idee liberali che per il rango a cui appartengo non dovrebbero essere tali. Io parteggio per Garibaldi: questa è la mia colpa.

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